ANNO 14 n° 118
Livingstone in Salotto
C'è bisogno di grazia
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
22/06/2015 - 02:00

di Massimiliano Capo

VITERBO - ''Portavo a spasso un cieco/ e raccontando ad un cieco dalla nascita/ tutto quello che vedevo/ io riuscivo a vedere meglio”, cercando di liberare in noi qualcosa di vivente liberiamo anche gli altri, oppure cercando di scordare, di levare le corde degli altri, ci liberiamo noi stessi''.

Dovremmo: affidarci agli altri per capire meglio se stessi.

E poi dovremmo leggere attraverso gli occhi dell’altro da noi e comprendere in profondità quello che siamo.

L’altro è la figura chiave che definisce il perimetro della nostra esistenza.

Kierkegaard paragona la fede a un salto e l’uomo di fede a un acrobata o a un equilibrista senza rete.

Siamo noi gli acrobati, di fronte al mistero del nostro vivere quotidiano.

Siamo noi, i piccoli equilibristi sulla corda tesa del nostro essere umani.

Di fronte all’inconoscibile dispiegarsi dei nostri gesti ci muoviamo con circospezione.

Abbiamo paura di ciò che non conosciamo e ci affidiamo agli occhi degli altri mai facilmente.

Siamo attratti a rimanere sulla nostra terra, la patria delle cose che conosciamo, delle certezze, delle convinzioni salde e rassicuranti, da una forza di gravità più forte di quella naturale: un misto di pigrizia e terrore; di stanchezza e naturale conservazione degli equilibri raggiunti.

Quegli equilibri che sappiamo precari e che non sfuggono al moto incessante del tempo della vita.

Cambiare è il verbo che racconta di una esistenza piena.

Così come la presenza, un’etica della presenza, è la condizione di quella pienezza che nel cambiamento si realizza.

Presenza che sta per calore.

Calore che brucia inibizioni, pregiudizi e repressioni.

Calore che scalda con la forza di sguardi, sorrisi e abbracci.

Calore che è grazia e gentilezza. E comprensione, compassione ed empatia.

''Nella nostra società bambini intelligenti e vivaci, potenzialmente capaci di conoscenza, di nobili ideali, sforzi onesti, vengono trasformati in bipedi inutili e cinici o in giovani per bene chiusi in trappola o precocemente rinunciatari, sia dentro che fuori il sistema organizzato.

Il mio scopo è semplicemente questo: dimostrare come oggigiorno sia disperatamente difficile per un bambino normale crescere fino a farsi uomo per il nostro attuale sistema organizzato non richiede uomini: sono pericolosi, non convengono''.

Ma è nello sguardo adolescente dei ragazzi, quello che “non vede quello che vedono tutti/ e quello che nessuno vede adora” (rubo a Umberto Saba e alla introduzione di una silloge di scritti di Paul Goodman sia questa sia la citazione precedente); è in questo sguardo che si apre lo spazio per un diverso modo di concepire la vita.

Quello sguardo che non è prerogativa anagrafica ma disposizione mentale.

Quello spazio pre-politico, im-politico, che non è il ‘fuori’ da questo mondo.

Che non è ‘contro’ in attesa di un ‘andare oltre’ improbabile quanto velleitario.

E’ invece l’in mezzo al guado di chi resiste nelle zone temporaneamente autonome dell’amore, dell’amicizia, degli affetti familiari.

Della presenza fiduciosa sia pure nell’oscillare costante tra paura e desiderio.

Non si tratta però di star lì a guardarci l’ombelico e a stabilire ogni giorno il nuovo confine superato il quale finalmente decideremo di abbandonare ciò che ci impedisce di cambiare.

Ancora Goodman: ''Tutti gli esami di coscienza e le angosce purgatoriali riguardano questa domanda: dove tracciare il limite? Sarò schietto: tutta questa ansia è ittagionevole. Tracciamola questa linea e facciamola finita''.

Buona settimana.

 

 

 





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